tag:blogger.com,1999:blog-11066603251247846742024-02-19T06:05:48.445+01:00Parole senza ombrelloParlo quasi da quando sono venuta al mondo. Scrivo quasi da quando ho iniziato a parlare.AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.comBlogger10125tag:blogger.com,1999:blog-1106660325124784674.post-41500743636753105242015-11-10T16:40:00.000+01:002015-11-10T16:48:24.601+01:00Io ci credoTorno in questa mia stanza virtuale a distanza di un anno. E lo faccio per parlare ancora una volta dei miei giovani di "Quando intrecciavamo fiori": oggi, dopo una lunga gestazione, è arrivato infatti il booktrailer di un romanzo che continuo a ritenere profondamente, disperatamente, gioiosamente attuale.<br />
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<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/QOQiAdAjWEQ/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/QOQiAdAjWEQ?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
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A trentaquattro anni compiuti posso considerarmi una specie di adulta, o almeno una che cammina sul crinale. Vedo nuove generazioni che a volte mi sembrano molto distanti da me; poi guardo alla mia adolescenza, all'adolescenza vissuta dai miei amici e mi dico che non vale la pena di cadere a mia volta nell'errore del farmi abbagliare dal vestito che nasconde l'uguaglianza. Dell'accettare la divisione che nasconde comunione e vicinanza.<br />
Credo nell'essere umano. Credo nei giovani. Credo nei bambini.<br />
Spaventati, fragili, incompresi per mancanza di voglia di ascoltare, eppure sempre, capaci di lottare, amare e sognare: è per questo, in fondo, che esistono - per portare avanti il sogno.<br />
Anche se in Italia un e-book non arriva lontano, vorrei che questo libro potesse parlare a tutti loro e dire: "Credo nella bellezza che c'è in ognuno di voi. Sono sicura che ce la faremo".<br />
Certo che ce la faremo.<br />
A non farci parlare addosso dagli altri, che vogliono spiegarci chi siamo e che non siamo all'altezza delle loro aspettative (quando sono <i>loro</i> a non esserlo).<br />
A fare le pernacchie ai politicanti e ai benpensanti che si riempiono la bocca di bei discorsi sui giovani e poi ci sbattono le porte in faccia senza neppure guardarci.<br />
<br />
A ridipingere il mondo con i colori che ci appartengono, a costo di dover grattare via l'intonaco vecchio e scrostato - a costo di creare i nostri colori con le erbe e la terra, se le scorte non ci vengono recapitate.<br />
Io ci credo. <br />
<br />AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1106660325124784674.post-51946460305617235242014-09-25T11:10:00.002+02:002014-09-25T12:46:48.667+02:00Voglio continuare a intrecciare fioriOggi il mio romanzo <i>Quando intrecciavamo fiori</i> fa il suo ingresso nel web.<br />
E' un romanzo la cui idea è nata parecchio tempo fa, e che è stato ultimato qualche anno fa; gli sono succeduti altri due romanzi, uno già terminato e l'altro in fase di realizzazione. Posso dire che rappresenti una fase della mia vita che si è conclusa.<br />
Eppure gli sono particolarmente affezionata, e sono felice ed orgogliosa della sua uscita. Adesso vi spiego perché.<br />
Proprio ieri ho incontrato per caso una mia cara amica d'infanzia, una ragazza sveglia e intelligente, che brillava tra i nostri coetanei. Anche lei precaria, anche lei in cerca di quel posticino nel mondo che sembra sempre più difficile da trovare, nonostante gli sforzi.<br />
Mentre parlavamo del modo umiliante in cui spesso vengono trattati i giovani della nostra generazione (ma non solo loro) ha detto una frase che mi ha molto colpita: "Si vede come si ridimensionano le aspettative".<br />
Come a dire che al futuro che sognavamo, cui sentivamo di appartenere di diritto, ormai abbiamo dovuto tutti rinunciare.<br />
E invece no. Non voglio che sia così.<br />
Tutti, nella nostra società e nel mondo, abbiamo il diritto di sognare e di pretendere una vita che sia all'altezza delle nostre aspettative, almeno quando ci impegniamo per realizzarle.<br />
<i>Quando intrecciavamo fiori</i> parla di una generazione che non si è arresa, che nonostante tutto non ha voluto ridimensionare le proprie aspettative, e che cerca di rimboccarsi le maniche per far sì che sia il mondo a sollevarsi fino a quell'altezza, anziché il contrario.<br />
E io voglio credere, voglio sperare, voglio dare il mio contributo affinché sia così.<br />
<br />AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1106660325124784674.post-82650951218775587942014-08-13T23:27:00.001+02:002014-08-13T23:41:51.564+02:00Tutto il midollo della vitaA nessuno importerà che ne scriva anch'io.<br />
Tutti, là fuori, ne stanno parlando, e aggiungere la mia voce a questi milioni di voci non farà alcuna differenza.<br />
Ma glielo devo.<br />
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Robin Williams è morto due giorni fa.<br />
E neanche questo farà una gran differenza per la maggior parte dell'umanità, occupata a cercare di sopravvivere fino a domani, e poi per un altro giorno ancora, come quasi nessuno si accorge che il cielo fa meno luce quando si spegne una stella.<br />
Per molti sarà solo una notizia in più, da scrivere o da leggere, e poi da oltrepassare, come si oltrepassa un cartello segnaletico mentre si percorre la propria strada, persi nella propria vita.<br />
Ben presto ci saranno nuovi film, e nuovi attori, e la Storia che va avanti.<br />
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Eppure, se il nostro essere qui ha un senso, credo stia nel fatto che per qualcuno, anche solo per un'unica inguardata creatura, il nostro passaggio abbia significato qualcosa.<br />
Robin Williams è stato - è - il mio attore preferito. Il mio idolo adolescenziale, quando le mie compagne di scuola appendevano poster di Raoul Bova in classe e io sognavo di volare fuori dalla finestra in compagnia di quel Peter Pan adulto che aveva conservato i suoi pensieri felici.<br />
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I suoi film hanno teso la mano alla mia anima e l'hanno aiutata a spiccare il volo proprio quando aveva bisogno di parole che la aiutassero a volare.<br />
Non sono mai riuscita ad accettare che quei personaggi fossero "solo" personaggi: troppo forte e precisa la personalità che riusciva a dare ad ognuno, dandomi l'impressione che, nella loro diversità, andassero a comporre tutti assieme la verità di quell'unico, inimitabile essere umano che aveva dato loro voce, forma e soprattutto sguardo - quello sguardo incredibile, profondo, antico, capace di agganciare l'Oltre.<br />
E continuerò a credere che Robin Williams fosse esattamente questo: un poeta, un sognatore, un delizioso folle; un uomo che amava tanto e soffriva tanto, capace di sdraiarsi nell'erba per vedere le stelle ed emozionarsi come un bambino, in perenne lotta - come tutti i grandi innamorati della vita - per rimanere in piedi tra paradiso e inferno, tra il rumore della folla e il silenzio dell'anima.<br />
<br />
Ho sempre pensato all'ironia del fatto che, tra i tanti libri letti, fosse stato un film ad imprimere alla mia vita la sua svolta più importante, donandomi il desiderio di essere me stessa e inseguire i miei sogni e regalandomi delle citazioni che erano vere e proprie indicazioni di vita (tra cui la profetica "Andai nei boschi perché volevo succhiare tutto il midollo della vita... e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto"); eppure ho sempre voluto riconoscere all'<i>Attimo fuggente</i>, e a colui che in modo sublime aveva incarnato l'ideale del professor Keating, questo ruolo fondamentale per me.<br />
Così come ora, in questo blog vuoto ed echeggiante, in cui è tanto strano parlare solo per riascoltare la mia voce, so di dovergli il mio ricordo.<br />
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Grazie, Robin Williams.<br />
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<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/aCLI0HDM4FI?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
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<br />AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1106660325124784674.post-6073926519135000402013-05-14T00:20:00.000+02:002013-05-14T00:28:43.987+02:00Delle gravidanze (letterarie e letterali)Succede quando hai appena pubblicato un libro. Che hai meditato per un sacco di tempo, al quale hai dedicato le tue energie e i tuoi ritagli di tempo libero degli ultimi tre anni, sulle cui bozze hai lavorato negli ultimi dodici mesi, otto dei quali divisi tra il libro e una gestazione nel senso letterale del termine - e quindi con tutte le stanchezze, lo stress, la caterva di esami e visite che si dicono necessari per una cosiddetta "gravidanza fisiologica".<br />
Succede quando sei a tre settimane dal parto, e te ne vai in giro con la tua pancia bella tonda, intimamente contenta di dare vita, di sentirti parte del ciclo della Vita stessa e allo stesso tempo infastidita dai luoghi comuni e le frasi fatte che già piovono sulla povera creatura che verrà, ancor prima che metta piede in questo mondo che non si sa più nutrire di parole.<br />
Improvvisamente, ti rendi conto di due cose.<br />
La prima è che il tuo status di Futura Mamma - ottenuto, se vogliamo proprio essere sincere e senza nulla togliere al miracolo della vita nuova, con sforzo minimo - surclassa il tuo status di scrittrice, quello che ti sei sudata per vent'anni della tua vita, e che - in quanto giovane scrittrice - ti trovi a dover difendere giorno dopo giorno da eserciti di livorosi, professoroni, scettici, indifferenti e più in generale rompipalle. Non solo lo surclassa: lo mette in ombra. Non solo lo mette in ombra: lo annulla. Poco importa quello che sei, che sei stata, che vorresti essere: l'immagine che improvvisamente tutti associano a te è quella della mamma mulinobianco, che sorride mentre spruzza la casa di antiacaro, pulisce volenterosa la cacca della nuova generazione rampante e in cambio la imbottisce di prodotti preconfezionati ma tanto tanto colorati. Tu, che ti sei preparata per tempo a rispondere a domande sulla tua carriera, i tuoi sogni, la nascita del tuo bisogno di incidere la carta con le tue emozioni, ti trovi a rispondere ogni giorno solo ed esclusivamente alle fatidiche domande: "Quanto manca?" e "Come la chiamerete?".<br />
La seconda è che, del fatto che oltre ad una pancia tu abbia un cervello, un cuore e quant'altro, non gliene frega niente a nessuno.<br />
Vedi i tuoi colleghi maschi, con o senza prole, che continuano ad essere considerati prima di tutto persone.<br />
Riguardi il film della tua vita a ritroso e noti:<br />
- che i livorosi che ti hanno messo i bastoni tra le ruote sono perlopiù maschi adulti, e di una certa età<br />
- che in tutte le realtà in cui hai lavorato i posti di potere erano occupati da maschi<br />
- che ai tuoi coetanei appartenenti al sesso maschile la società sembra dare un certo credito, quando a te capita che persone che non hanno manco letto un tuo libro ti facciano delle critiche solo perché ritengono che a una persona della tua età sia opportuno farle ("Non sia mai che le venga l'idea di continuare ad esprimere le proprie idee, c'è il rischio che risultino più interessanti delle mie")<br />
Ed ecco che proprio tu, che non hai mai dato grande importanza alle questioni di genere, senti che forse essere donna è ancora, tutto sommato, un peso.AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1106660325124784674.post-58699538449285024902011-12-20T11:14:00.005+01:002011-12-20T12:00:59.720+01:00Sotto il pelo dell'acqua - la cultura sommersaPatrizia Mucciolo - <em>Le ombre azzurre</em>, ed. Io Scrittore, 2011 (e-book) <a href="http://www.illibraio.it/servizi/ecommerce/edigita/dettaglioBook.aspx?code=EDGT14339">Presentazione</a> sul sito di Io Scrittore<br />
Roberto Turrinunti - <em>Estanislao Kowal</em>, ed. Il Ponte Vecchio, 2011 <a href="http://www.youtube.com/watch?v=a5MVddIV1q8">Booktrailer</a> a cura di Rosalia Raineri e Debora De Angelis<br />
Angelo Di Liberto - <em>Di questa vita</em>, in pubblicazione a puntate sulla webzine <em>Kultural</em>, 2011 <a href="http://www.kultural.eu/serial-kulture">Leggilo!</a><br />
Rosalia Raineri - <em>Un buco nell'eternità</em>, ed. Miele, 2010 <a href="http://www.youtube.com/watch?v=AhwLLieuaLw">Booktrailer</a><br />
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Inizio con un elenco di libri che ho letto o ho intenzione di leggere prossimamente la rubrica "Sotto il pelo dell'acqua", dedicata alla <em>cultura sommersa</em>: tutte quelle esperienze che, per un motivo o per l'altro, non sono (ancora?) state conosciute o riconosciute dalla nostra società.<br />
Libri, opere d'arte, ma anche esperienze di vita che molto spesso hanno un solo difetto: quello di sottrarsi ai canoni imposti dalla società.<br />
Vite e opere troppo lente o troppo profonde, e perciò non etichettabili dalla società della catena di montaggio, quella che produce miliardi di etichette tutte uguali da appiccicare su ciò che scorre sul nastro.<br />
Qualcuno potrebbe pensare che a determinare i sommersi ed i salvati sia la qualità dei secondi e la scarsa qualità dei primi, ma purtroppo non è così. Nella nostra società non vige la meritocrazia, ma la <em>clamoricrazia</em>: vince chi urla più forte e chi urla più "a tempo con la moda".<br />
Della cultura sommersa iniziai ad occuparmi anni fa con la rubrica <em>La foresta che cresce</em>, che un direttore illuminato mi permise di tenere in prima pagina sul quotidiano l'Adige: raccontai quell'ampia fetta di mondo giovanile che fa, che si impegna, che ha sogni e aspirazioni, totalmente ignorata da una massa mediatica assetata solo di sangue e cattiveria.<br />
Oggi la rubrica non c'è più. I sommersi, però, continuano a vivere e ad operare - e con loro la speranza che il mondo continui ad essere colorato, pieno di diversità, ricco di speranza.AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1106660325124784674.post-14674055675402188682011-12-07T14:44:00.007+01:002011-12-20T12:01:35.014+01:00Costruire il male quotidianoNon amo la spettacolarizzazione, neanche quella della parola. Per questo sono piuttosto restia a utilizzare frasi ad effetto... che so, come "una tragedia evitata", "la curva assassina", "avrai gloria eterna" e così via. Mi sembra che le frasi d'effetto, oltre ad essere manifestazione di una debolezza intrinseca dello scrivente - incapace di portare sulla carta le emozioni e per questo assetato di magniloquenza -, rappresentino una sorta di tradimento nei confronti della verità.<br />
Per questo ultimamente, quando mi sono trovata a parlare della "banalità del male" riferendomi a un certo modo di sfruttare i giovani, al tempo stesso mi sono scoperta a mordermi la lingua.<br />
Eppure... Accidenti, non <i>voglio</i> spettacolarizzare, ma non posso fare a meno di pensare al concetto così ben espresso da Hannah Arendt. L'idea che il cosiddetto "male" sia in realtà, prima di tutto, un fatto assolutamente quotidiano, praticato da tante brave persone la cui unica colpa potrebbe essere quella di non voler pensare abbastanza, di non voler vedere abbastanza, di non voler capire abbastanza.<br />
La Arendt ne parlava a proposito dei tanti tedeschi qualunque che non volendo pensare, vedere, capire, furono corresponsabili della Shoah. Ci furono gli aguzzini, ci furono coloro che uccisero, torturarono, progettarono un eccidio. Ci furono tantissimi bravi padri (e madri) di famiglia che si limitarono a proseguire la loro brava vita, annaffiando le proprie rose, leggendo le fiabe ai propri figli e portando a spasso il cane, mentre tutto questo si compiva. La loro partecipazione attiva al Male fu così piccola che magari si limitò alla coesistenza con qualcosa di cui intuivano la presenza ma non volevano vedere l'enormità; ad uno sguardo di disprezzo, a un minimo aiuto negato, ad una parolina detta per sbaglio alla persona sbagliata che fece scoprire ebrei rifugiati. Gesti minuti - i "quasi niente" che nutrirono, assecondandola, una tragedia.<br />
Se tutti avessero voluto pensare, vedere, capire, forse le cose sarebbero andate diversamente.<br />
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Nel mondo il male continua ad annidarsi nella vita quotidiana, e fa parte dei tanti piccoli mattoncini con cui si costruiscono le catastrofi.<br />
Ci penso anche quando vedo il modo in cui vengono sfruttati i giovani in Italia perchè, anche in questo caso, un grosso problema (per alcuni una vera e propria tragedia) viene alimentato dalle tante piccolissime azioni scorrette di bravissimi padri (e madri) di famiglia.<br />
La segretaria ha ricci composti, un'espressione caritatevole. Siede nel suo sicuro ufficio da dipendente a tempo indeterminato, tra le piante fiorite e i disegni dei nipoti. Sorride quasi con tenerezza mentre ammette: "Sì, in effetti - non dico che sia giusto, ma <i>è così</i> - si tende un po' a considerare i collaboratori a progetto quelli che si possono... non dico sfruttare, no, ma impiegare anche più del dovuto. L'altro giorno se n'è andato un collaboratore che era con noi da tre anni e gli hanno fatto una festona... quasi come se fosse andato in pensione un dipendente <i>vero</i>! Il giorno dopo tutti si sono resi conto che mancavano due persone invece di una, che lui per tre anni aveva fatto lavoro per due!".<br />
Ultimamente ho ascoltato raccontare e visto verificarsi tanti piccoli episodi del genere, e ne sono rimasta sconvolta. Uomini e donne maturi, assolutamente regolamentari - i nostri vicini di casa, i genitori dei nostri coetanei - che, aderendo senza farsi domande a un generale "è così, quindi dev'essere così", danno per scontato che i giovani che lavorano alle loro dipendenze o nei loro uffici siano strumenti e non persone. Che dispensano con leggerezza promesse di assunzione, che fanno fare stage di <i>sei mesi </i>gratuiti senza alcun progetto, e quindi totalmente inutili, dando per scontato che gli stagisti esistono solo per essere <em>usati</em>, che sfruttano il lavoro dei giovani desiderosi di compiacere in cambio di una paga che mai arriverà - pronti a sostituirli non appena chiederanno il loro giusto compenso - , che trattano i contrattisti da moderni schiavi.<br />
Non sono tutti così, ma sono in tanti. Troppi.<br />
Qualcuno di questi maturi signori si difenderà dicendo che da che mondo è mondo i giovani devono fare "gavetta", che noi siamo dei bamboccioni viziati che vorrebbero subito il posto sicuro e ben pagato.<br />
Non sto parlando del "fare gavetta", e i maturi signori lo sanno benissimo. Solo, non vogliono pensare, vedere, capire.AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1106660325124784674.post-3071359568645149002011-11-29T00:30:00.003+01:002011-11-29T12:23:50.993+01:00La storia del soldato che riparò il grammofonoI libri non sono generi deperibili. Quando senti che è arrivato il momento di leggere un libro, ecco, quello è il primo istante in cui quel libro esiste. Per questo i libri sono sempre attuali: perché per qualcuno ci sarà sempre il Momento Giusto in cui leggerli.<br />
Mi piace trovare i libri al Momento Giusto: andare in biblioteca, scegliere uno scaffale a caso e iniziare a leggere i titoli, a guardare i dorsi delle copertine, fino a quando un libro non mi chiama. Funziona sempre.<br />
Così ho trovato <i>La storia del soldato che riparò il grammofono</i> di Saša Stanišić.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBq7HbkDi_0wD44dQ_fkXsWJZnkVEMMcjqnbXhDkmQJXKdedMXeOTcOyBGhHy9-szOi5rgEBdcScbQRyasM23KQjXkJBYV7FZOq9s5PTKEgOYMNz8efQm8i1Kge9xceB90KV-5P4lgO6XA/s1600/image_book.php.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBq7HbkDi_0wD44dQ_fkXsWJZnkVEMMcjqnbXhDkmQJXKdedMXeOTcOyBGhHy9-szOi5rgEBdcScbQRyasM23KQjXkJBYV7FZOq9s5PTKEgOYMNz8efQm8i1Kge9xceB90KV-5P4lgO6XA/s1600/image_book.php.jpg" /></a></div>Non è facile descrivere un libro che scorre oltre gli argini, in cui le parole sono oggetti, immagini e sensazioni così forti da lasciare senza fiato. Un romanzo simile alla Drina, il fiume che attraversa i Balcani, che da sempre ne lambisce le campagne pigre e i villaggi sofferenti, i villaggi pigri e le campagne invase dalla solitudine, raccogliendo di ogni guerra i cadaveri, di ogni ponte gli sguardi dei bambini.<br />
La trama, semplicissima. Alexandar è bambino ai tempi della guerra bosniaca; fuggito con la sua famiglia in Germania, dopo dieci anni di oblio e "integrazione" sente il bisogno di tornare indietro, di completare ricordi lasciati incompiuti, ridando così senso alla propria vita e alle vicende di un'intera comunità, quella di Višegrad, la sua cittadina natale devastata dal genocidio.<br />
Tutto qui. Eppure nel romanzo, di questo, si trova ben poco.<br />
Si trovano le vicende della pace e della guerra: le morti, le partenze e i ritorni, i racconti degli adulti e degli altri bambini, come quello di Asija, pallida e dai capelli di un biondo chiarissimo, sfuggita al massacro di un intero villaggio. Vicende troppo grandi, o forse troppo piccole, per l'interiorità di un bambino come Alexandar, che le deve trasfigurare con la fantasia, grazie alla bacchetta magica e al cappello regalatigli dal nonno Slavko poco prima di morire, per renderle della dimensione giusta.<br />
In un continuo rimando tra reale e immaginario, tra presente e ricordo, tra mondo esteriore e mondo interiore, in lampi di lancinante poesia, la verità su ciò che ne è stato del villaggio e dell'infanzia di Alexandar emerge con impietoso realismo.<br />
Saša Stanišić (Višegrad, 1978), che con la pubblicazione del suo primo romanzo (nel 2007, edito in Italia da Frassinelli) <i>La storia del soldato che riparò il grammofono</i> si è dimostrato uno scrittore già perfettamente formato, è riuscito a trasformare una vicenda umana precisa in un affresco dedicato alla vita dell'essere umano, alle sue minuscole gioie, al rincorrersi delle guerre, al suo essere intreccio indissolubile di bene e male.<br />
Se potessi, continuerei. Ma sarà lui a spiegare cosa c'è di misteriosamente bello in ciò che scrive, e lo farà meglio di me.<br />
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"<i>Ogni due minuti si spegne la luce nella tromba delle scale. Per alcuni secondi l'oscurità copre l'attesa. Non abbastanza da poter distinguere le sagome. Subito qualcuno riaccende la luce. Ogni oscurità è una breve scomparsa, una piccola guarigione. In uno di questi secondi scuri Asija sussurra: non dimenticarmi! Il dimenticare mi solletica il lobo dell'orecchio, non so perché lo dica, perché lo dica ora, non so cosa devo risponderle.</i><br />
<i>La luce torna a vivere, Asija si attorciglia i capelli sul dito, le lacrime hanno disegnato vene sullo sporco delle sue guance.</i><br />
<i>Quando i tubi al neon si riaccendono - ogni volta un grande strizzar d'occhi, ma nessun risveglio. I soldati non scompaiono, si tolgono gli stivali e si guardano le dita dei piedi. L'attesa non finisce</i>".AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1106660325124784674.post-22873990595052883452011-07-12T14:21:00.001+02:002011-11-29T09:42:43.637+01:00Take me home, country roads<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">E' morto George McAnthony.</div>Ricordi George McAnthony?<br />
Io me lo ricordo bene. E' tra i segni che mi ha lasciato il tempo: una musicassetta dalla copertina colorata. Ero una ragazzina con la passione per i cavalli e il mito del cow-boy. Lui sul palco, da solo con chitarra mandolino armonica batteria e chissacosaltro, un cappellaccio e un gilet con le frange, e tutte le strade dell'America rurale tra le sue corde.<br />
<br />
E tu, te lo ricordi?<br />
Eravamo più giovani, allora. George McAnthony era diventato un personaggio della nostra vita, il nostro amico invisibile. "Cosa si fa, domani?". "Domani niente, arriva George McAnthony e fa tutto lui". "C'è da cambiare una lampadina". "Non c'è problema, arriva George McAnthony e mentre la avvita ti suona Take me Home, Country Roads". "E prepara anche il caffè".<br />
George McAnthony era ovunque. Le feste di paese non erano feste senza di lui. E c'era chi ballava, e c'erano le ragazzine che comperavano le musicassette e i cd, anno dopo anno, e George McAnthony cantava, sempre solo con tutte quelle cose meravigliose sul palco e tra le corde, e noi un po' si scherzava, un po' si ammirava quest'uomo che, tutto solo, era un intero complesso country, e che ancora ci credeva nel mito del cow-boy buono, quello che ha imparato la fratellanza dagli indiani e dai cavalli e che non spara più. One man band, si faceva chiamare.<br />
Come se avesse dentro tutte le vite dei membri del suo complesso di un solo uomo, è morto a 45 anni. <br />
E ora che manca, sai, capisco tutto quello che George McAnthony ha significato per me, per noi. Come tutti gli artisti inseguiva la frontiera: senza farsi fermare dalle strade polverose, dal vento infocato, dai miraggi, quest'uomo solo con dieci uomini dentro inseguiva la perfezione di un ideale. Che forse era la musica sconfinata come le praterie, che forse era la stessa fratellanza che solo la musica country può riscattare dal male dell'uomo bianco, che forse era il vivere d'arte, di sogni impalpabili come l'applauso del pubblico, come una line dance accennata sull'erba.<br />
E' morto George McAnthony. Forse siamo i soli ad accorgerci di quest'improvvisa povertà del mondo, ora che non c'è George McAnthony a inseguire la frontiera per noi e a farci capire che i sogni li puoi realizzare.<br />
Ieri sera ho suonato Take me home, country roads per lui. Come se fossi dieci persone che inseguono la frontiera.<br />
<div style="text-align: center;"><iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/AIR5sofr0P4?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1106660325124784674.post-9672850975580220062011-02-15T00:57:00.002+01:002011-11-29T17:03:38.840+01:00Le nostre insondabili profondità. Krabat.Diciassettesimo secolo, in un'Europa devastata dalla peste e dalla carestia.<br />
Un orfano come tanti, come quei tanti destinati a morire in mezzo ai campi senza neppure il conforto di uno sguardo, attraversa le terre brulle dell'Europa dell'Est cercando, se non di rimanere in vita, di rimandare il momento della morte.<br />
Ed ecco che d'improvviso, a questo ragazzo come tanti altri, una notte si presentano in sogno undici corvi neri posati su uno steccato. A fianco dell'undicesimo, uno spazio vuoto.<br />
I corvi lo chiamano. Krabat, vieni al mulino. E' proprio te che vogliamo.<br />
Il giovane Krabat si mette in viaggio. Lo trova. Un mulino isolato, dall'aspetto sinistro e il tetto di paglia, in cui vive un Maestro con i suoi undici apprendisti. In cui gli vengono subito destinati un letto e vestiti non suoi.<br />
Krabat, l'orfano, quello come tanti, ha finalmente qualcuno che lo vuole: ha una casa, una specie di padre, dei fratelli. Anche se si deve lavorare duro, anche se ad ogni novilunio i ragazzi, osservati da una misteriosa figura incappucciata, devono macinare nella Macina Nera cose irraccontabili.<br />
Poco alla volta, senza che quasi neppure se ne accorga, in Krabat filtra la consapevolezza di ciò che sta accadendo. Che quello non è un mulino normale, che lui e gli altri ragazzi non sono normali assistenti di mugnaio, che il loro non è un destino qualunque. Fino a quando si troverà a fianco dell'amico Tonda, nella notte di Pasqua, seduto sotto un "albero sotto cui sia morto qualcuno di morte violenta", e davanti allo spettacolo emozionante del piccolo villaggio vicino illuminato dalle candele della funzione pasquale apprenderà ciò che sta per diventare. E una volta fatta la scelta, solo un miracolo, o un potere più grande delle forze malvage cui si è donato, potrà salvarlo.<br />
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Il romanzo di Otfried Preussler in tedesco si intitola <i>Krabat</i> e risale al 1971. E' stato tradotto in italiano con il titolo <i>Il mulino dei dodici corvi</i>; del 2008 è la sua quasi perfetta riduzione cinematografica del regista Marco Kreuzpaintner. In Italia non è ancora arrivato, e chissà se arriverà, ma se ne trovano versioni sottotitolate in italiano.<br />
Ci sono storie che sanno scavare dentro di noi. Non importa il genere cui appartengono. La loro potenza sta forse nella forza degli archetipi che sanno risvegliare nella nostra parte più remota. Impossibile dimenticare il potente personaggio di Tonda, amico incondizionato e vittima sacrificale, che rappresenta la protezione, la sicurezza, il calore del legame totale: quella certezza della presenza che forse abbiamo vissuto in qualche amicizia d'infanzia e cui per tutta la vita siamo destinati ad anelare senza mai ritrovarla.<br />
<i>Krabat</i>, che pure possiede una trama affascinante e decisamente dark, non è horror e non è fantasy: è una storia fatta a lama di cristallo, in grado di separare senza esitazione dal rumore di fondo i sentimenti più puri, e mostrarceli come mai in vita saremo in grado di contemplarli.<br />
<i>Krabat</i> è il racconto delle nostre insondabili profondità. Della seduzione che viene dal potere del Male, dalla sua promessa di farci sentire degli eletti in un mondo per il quale non esistiamo neppure. Del prezzo che sempre si deve pagare per ottenere qualcosa. Del primo lutto, della perdita definitiva del legame con la certezza della presenza, che da un giorno all'altro ci fa diventare adulti senza possibilità di ritorno.<br />
Ma è anche storia che esalta, con la stessa evidenza cristallina, l'amore e l'amicizia come sentimenti totali, capaci forse di spezzare persino il più potente incantesimo di morte.<br />
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</div>AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1106660325124784674.post-59297141535573229542010-12-17T22:03:00.000+01:002010-12-17T22:03:39.398+01:00Io non volevoIn realtà non ho mai avuto intenzione di aprire un blog.<br />
E' successo così, per caso. O forse neppure.<br />
Uno scrittore scrive, mi hanno detto. Lo scrittore del ventunesimo secolo lo fa anche su web. Dev'essere <i>connesso</i>. E, come succede sempre, le parole si sono depositate in me, sono cresciute nei mesi e alla fine si sono trascinate fuori dal fondo dei miei pensieri. Non bisognerebbe mai ignorare il fondo dei pensieri, il posto in cui si deposita tanta sporcizia ma anche qualche cosa utile, tipo i sogni, le speranze, le idee che vanno lontane dal nostro normale modo di pensarle. Tutto mescolato.<br />
Allora mi sono detta: vediamo se riesco a fare qualcosa di ciò che vorrei fare scrivendo libri anche attraverso un blog.<br />
E così eccomi qui.AMahttp://www.blogger.com/profile/03400861091422049743noreply@blogger.com0