martedì 15 febbraio 2011

Le nostre insondabili profondità. Krabat.

Diciassettesimo secolo, in un'Europa devastata dalla peste e dalla carestia.
Un orfano come tanti, come quei tanti destinati a morire in mezzo ai campi senza neppure il conforto di uno sguardo, attraversa le terre brulle dell'Europa dell'Est cercando, se non di rimanere in vita, di rimandare il momento della morte.
Ed ecco che d'improvviso, a questo ragazzo come tanti altri, una notte si presentano in sogno undici corvi neri posati su uno steccato. A fianco dell'undicesimo, uno spazio vuoto.
I corvi lo chiamano. Krabat, vieni al mulino. E' proprio te che vogliamo.
Il giovane Krabat si mette in viaggio. Lo trova. Un mulino isolato, dall'aspetto sinistro e il tetto di paglia, in cui vive un Maestro con i suoi undici apprendisti. In cui gli vengono subito destinati un letto e vestiti non suoi.
Krabat, l'orfano, quello come tanti, ha finalmente qualcuno che lo vuole: ha una casa, una specie di padre, dei fratelli. Anche se si deve lavorare duro, anche se ad ogni novilunio i ragazzi, osservati da una misteriosa figura incappucciata, devono macinare nella Macina Nera cose irraccontabili.
Poco alla volta, senza che quasi neppure se ne accorga, in Krabat filtra la consapevolezza di ciò che sta accadendo. Che quello non è un mulino normale, che lui e gli altri ragazzi non sono normali assistenti di mugnaio, che il loro non è un destino qualunque. Fino a quando si troverà a fianco dell'amico Tonda, nella notte di Pasqua, seduto sotto un "albero sotto cui sia morto qualcuno di morte violenta", e davanti allo spettacolo emozionante del piccolo villaggio vicino illuminato dalle candele della funzione pasquale apprenderà ciò che sta per diventare. E una volta fatta la scelta, solo un miracolo, o un potere più grande delle forze malvage cui si è donato, potrà salvarlo.

Il romanzo di Otfried Preussler in tedesco si intitola Krabat e risale al 1971. E' stato tradotto in italiano con il titolo Il mulino dei dodici corvi; del 2008 è la sua quasi perfetta riduzione cinematografica del regista Marco Kreuzpaintner. In Italia non è ancora arrivato, e chissà se arriverà, ma se ne trovano versioni sottotitolate in italiano.
Ci sono storie che sanno scavare dentro di noi. Non importa il genere cui appartengono. La loro potenza sta forse nella forza degli archetipi che sanno risvegliare nella nostra parte più remota. Impossibile dimenticare il potente personaggio di Tonda, amico incondizionato e vittima sacrificale, che rappresenta la protezione, la sicurezza, il calore del legame totale: quella certezza della presenza che forse abbiamo vissuto in qualche amicizia d'infanzia e cui per tutta la vita siamo destinati ad anelare senza mai ritrovarla.
Krabat, che pure possiede una trama affascinante e decisamente dark, non è horror e non è fantasy: è una storia fatta a lama di cristallo, in grado di separare senza esitazione dal rumore di fondo i sentimenti più puri, e mostrarceli come mai in vita saremo in grado di contemplarli.
Krabat è il racconto delle nostre insondabili profondità. Della seduzione che viene dal potere del Male, dalla sua promessa di farci sentire degli eletti in un mondo per il quale non esistiamo neppure. Del prezzo che sempre si deve pagare per ottenere qualcosa. Del primo lutto, della perdita definitiva del legame con la certezza della presenza, che da un giorno all'altro ci fa diventare adulti senza possibilità di ritorno.
Ma è anche storia che esalta, con la stessa evidenza cristallina, l'amore e l'amicizia come sentimenti totali,  capaci forse di spezzare persino il più potente incantesimo di morte.


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